Il Santuario
Il nuovo Santuario ha radici centenarie. Esso mette a fuoco un Francesco che non ha ancora intorno i suoi frati. Un Francesco prima del “francescanesimo”. Quando l’evento della spogliazione si compie, egli è ancora solo un giovane di questa Città, fino a poco tempo prima re delle feste, giovane gaudente delle allegre brigate, ed ora finalmente un innamorato di Cristo. Un giovane che lotta con l’incomprensione di suo padre, dentro le passioni della sua famiglia e della sua Città. Questo Santuario appartiene forse più di tutti alla “storia” di Assisi: è ancora tutto “dentro” le mura della Città, prima che il carisma di Francesco sviluppi il suo empito missionario sulle vie del mondo, ricevendo il sigillo della Chiesa universale. Il giovane Francesco e il vescovo Guido: singolare coppia di uomini di Chiesa che furono, insieme, “complici dello Spirito”. Nella Lettera che mi ha inviato, il Papa guarda all’esemplarità del loro rapporto, chiedendo alla Chiesa del nostro tempo di far propria la causa dei giovani, di valorizzarli e di accompagnarli. Il futuro si costruisce così, in questa complicità spirituale fatta di premura, di discernimento, di accoglienza. Dentro l’icona della spogliazione ci sono significati che toccano la vita spirituale e pastorale, la stessa vita sociale ed economica.
Chiesa di Santa Maria Maggiore
Secondo una leggenda la chiesa di Santa Maria Maggiore, prima Cattedrale della città, fu costruita nel IV secolo voluta da s. Savino, secondo vescovo di Assisi, sopra una casa romana, la domus di Properzio, e ampliata probabilmente nel IX secolo, periodo al quale risale la cripta. Nel 1035 il titolo di cattedrale viene trasferito alla Basilica di san Rufino, fatta costruire dal vescovo Ugone intorno al 1029, luogo dove erano conservate le reliquie del santo patrono.
Forse distrutta in un incendio la chiesa viene ristrutturata nel XII secolo da Giovanni da Gubbio come ricorda l’iscrizione incisa sul rosone “DOMINI 1163 IHOANNES FECIT” (forse Giovanni da Gubbio, lo stesso architetto che costruì la Cattedrale di San Rufino). Più tardi, nel 1216, viene ricostruita la zona absidale e la notizia viene riportata in una lapide che reca, tra l’altro, il nome del vescovo Guido e di Francesco e ripetuta in una iscrizione dipinta nella tribuna, purtroppo andata perduta nel terremoto del 1832 quando crollarono il tetto e la navata destra. Nel 1938 la chiesa viene consolidata e la facciata assume le forme attuali.
Anche la sacrestia della chiesa presenta una decorazione, infatti in una nicchia sono affrescati la Natività, il Cristo Benedicente, Santa Maria Maddalena, san Pietro, San Rufino e Santa Caterina d’Alessandria, opere databili al XIV secolo.
Anche la sacrestia della chiesa presenta una decorazione, infatti in una nicchia sono affrescati la Natività, il Cristo Benedicente, Santa Maria Maddalena, san Pietro, San Rufino e Santa Caterina d’Alessandria, opere databili al XIV secolo.
Il Vescovo Guido
Sì, lo Spirito di Dio, come a Pentecoste, agisce nelle parole e nei gesti di Francesco. Ma lo si può intravedere anche nel discernimento di Guido: «Il vescovo, vedendo questo e ammirando l’uomo di Dio nel suo fervore senza limiti, subito si alzò, lo prese piangendo fra le sue braccia e pietoso e buono com’era, lo ricoprì con il suo stesso pallio». Sfondo trinitario perfetto. Rapporti ecclesiali esemplari. Raramente, nella storia della Chiesa, istituzione e carisma si sono incontrati con tale immediatezza. Francesco e Guido sono entrambi “complici dello Spirito”. […] La figura paterna, e si direbbe materna, del vescovo ci introduce in un’altra dimensione: la prospettiva ecclesiale. Francesco si distingue, nella storia dei movimenti evangelici del suo tempo, per non aver mai posto l’amore per Cristo in tensione con l’amore per la Chiesa. E ciò non perché gli sfuggissero i limiti che segnano la vita della Chiesa, anche nei suoi ministri. Ma nella Regola, come nel Testamento, è perentorio: ai ministri della Chiesa, anche ai meno esemplari, occorre assicurare il massimo rispetto. Mi viene da supporre che, in questa convinzione profonda, non dovette mancare l’influsso di quel rapporto speciale avuto con il vescovo Guido. Nell’affresco di Giotto è fissato il momento in cui il vescovo lo avvolge con il suo mantello, mentre Francesco leva lo sguardo al cielo. C’è, in questo gesto, qualcosa di battesimale. Francesco è rigenerato, come nel giorno in cui era stato immerso nelle acque del battesimo. Anche nell’affresco che si può ammirare nella Sala della Spogliazione c’è un afflato materno: il vescovo tende le sue braccia al giovane che gli si abbandona come un figlio. Una bella esperienza della Chiesa madre. L’icona della spogliazione evidenzia così due dimensioni indissociabili della spiritualità di Francesco: la radicalità evangelica e la passione ecclesiale.
Padre nostro che sei nei cieli - la spogliazione di Francesco
Nell’episodio della spogliazione una parola è decisiva: «Finora ho chiamato te, mio padre, sulla terra: d’ora in poi posso dire con tutta sicurezza: Padre nostro che sei nei cieli». Pietro di Bernardone ha l’aria cupa di un padre sconfitto e arrabbiato. Il suo posto è preso dalla tenerezza del Padre celeste. Per Francesco la preghiera del Padre nostro finiva di essere una “formula”, diventava pietra angolare della sua esistenza. Lo stupendo affresco di Giotto fa librare le sue braccia verso il cielo, dove la mano del Padre lo attrae: appuntamento mistico nel cuore della Trinità. Francesco assume, in qualche modo, i lineamenti di Cristo. Sulle sue labbra fiorisce l’Abbà suggerito, nell’intimo del cuore, dallo Spirito Santo (cf. Gal 4,6; Rm 8,15). […] Il padre si allontana da lui con un gramo bottino di beni che ormai per Francesco hanno perso ogni valore. Una famiglia a pezzi. È triste che, da un evento di grazia, la famiglia di Francesco esca così duramente provata. Sia chiaro: la famiglia è un valore di prima grandezza. Un preciso comandamento di Dio regola i rapporti tra i genitori e figli: «Onora il padre e la madre». Ciò che Francesco rifiuta non è il rapporto di amore con il padre, ma l’idolo che lo insidia, il dio-denaro, con le sue logiche di potere e di gloria, a cui Pietro pretendeva di piegarlo. Al tempo stesso, andando oltre gli affetti terreni, Francesco dimostra quanto il vangelo sappia generare un nuovo tipo di famiglia. «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? […] Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre» (Mc 3,33.35). Il figlio di Pietro di Bernardone è ormai diseredato e abbandonato dalla famiglia naturale. Ma non tarderà a fiorire intorno a lui una famiglia spirituale. Bernardo, Pietro, Silvestro, Egidio, – i primi compagni assisani – e poi tanti altri. Risposta di Dio – quasi regalo di nozze – alla sua spogliazione. Nasce la fraternitas francescana, il cui ideale sarà vivere «secondo la forma del santo Vangelo ». È significativo che nella Sala della Spogliazione, sul muro parallelo a quello dell’affresco della rinuncia, sia raffigurato il dono della Porziuncola, fatto dai benedettini a Francesco. Tra Santuario della Spogliazione e Porziuncola corre un filo ideale. Porziuncola: luogo di contemplazione e, insieme, laboratorio di fraternità. Non a caso il nostro progetto diocesano di rinnovamento delle parrocchie con le piccole fraternità – le Comunità Maria Famiglie del Vangelo –, radicato nell’esperienza di Gesù e della comunità cristiana delle origini, ha proprio nella Porziuncola il luogo ispirante.
Sala della Spogliazione
A mettere a fuoco questa “icona” mi ha incoraggiato la visita che, il 4 ottobre 2013, papa Francesco fece ad Assisi sostando anche nella Sala della Spogliazione.
Fu una data storica per la riscoperta di quell’evento singolare della vita del nostro Santo. La tradizionale visita ai luoghi francescani della nostra Città lo aveva lasciato piuttosto ai margini, nonostante che ad esso fosse dedicato uno stupendo affresco nel ciclo giottesco della Basilica Superiore, e ad onta delle sue numerose rievocazioni biografiche e cinematografiche. La stessa sala del vescovado in cui siamo soliti far rivivere l’evento, e che lo ricorda con un dipinto attribuito a Cesare Sermei, portava, fino a pochi anni fa, il nome inadeguato, anzi fuorviante, di Sala del Trono, in riferimento a un baldacchino che la decorava. Negli ultimi anni c’è stato un costante cammino di riscoperta. Di qui anche la nuova denominazione.
Tanti pellegrini ormai passano per la Sala della Spogliazione.